martedì 2 ottobre 2012

Io e lui, voi e loro


Via Book People Unite

Ma chi sono tutte queste persone?

La stragrande maggioranza delle storie che leggete - diciamo pure quasi tutte - è scritta o in prima o in terza persona singolare.


La prima persona racconta le cose che "io ho fatto" e che "io ho detto" e che in generale "sono successe a me".
Siamo andati a mangiare al ristorante. Non dico quale, altrimenti la prossima volta sarà pieno di gente che viene a vedere se siamo tornati. Aveva prenotato Serge. Prenota sempre lui. È uno di quei ristoranti dove bisogna chiamare con tre mesi d'anticipo. O sei, o otto, ormai ho perso il conto. Io non vorrei mai sapere dove finirò a mangiare fra tre mesi, ma evidentemente ci sono persone a cui la cosa non fa né caldo né freddo. 
Herman Koch, La cena
La terza persona invece si usa quando il narratore non è presente in qualità di personaggio; si limita a raccontare cosa dicono e cosa fanno e cosa succede alle altre persone.
Il vecchio guardò il cane che lo osservava fissandogli le mani che infilavano l'amo attraverso il verme di plastica marrone fino alla coda arancione brillante, il vecchio cane sdraiato sulla riva, in una pozza di sole del tardo pomeriggio che filtrava attraverso gli alberi. Dopo tutto quel tempo, l'animale era ancora incuriosito da lui, incuriosito soprattutto dalle sue mani. Era come se, per il cane, le mani e ciò che le mani sapevano fare facessero la differenza tra una creatura e l'altra, e gli bastava così.
Jack Ketchum, Red
Le differenze sono abbastanza evidenti. Usando la prima persona, possiamo scrivere solo di quello che il narratore ha visto mentre era presente, sia fisicamente che mentalmente. Nella narrazione in terza, invece, il narratore può continuare a osservare anche quando il personaggio non è in sé

Nell'esempio della terza persona, poi, vediamo che il narratore esprime un'impressione sull'atteggiamento e i sentimenti del cane. Potrebbe essere un'impressione dell'anziano signore, ma potrebbe anche non esserlo; se avessimo usato il narratore in prima persona, quella dell'anziano signore sarebbe stata l'unica impressione esprimibile.


Ragazza allo specchio, di Norman Rockwell


Due di sei

La scelta tra prima e terza persona singolare non è tanto grammaticale quanto stilistica. La gestione del punto di vista è infatti prima di tutto una strategia narrativa, uno strumento molto potente per rendere il vostro racconto vivido ed efficace. 

La tecnica è spesso concepita come qualcosa di "rigido", una formula da imporre sul materiale; ma, come dice Flannery O'Connor, "nelle storie migliori è qualcosa di organico, qualcosa che si sviluppa dal materiale, e quindi è diversa per ogni storia di qualche valore mai scritta". Limitare la scelta quindi a due sole persone delle sei disponibili sembra una gabbia un po' stretta.

Chiediamoci quindi: è possibile fare tecnica narrativa anche con le quattro persone rimaste? Cosa mi impedisce di usare, ad esempio, la seconda persona singolare e cosa mi obbliga, invece, a limitarmi alla prima e alla terza?

Niente

La risposta alle domande fatte sopra è "niente". Nossignori, niente vi impedisce e niente vi obbliga, in teoria siete liberi di fare come preferite. In teoria. La pratica è un altro paio di maniche. Cerchiamo di capire il perché.

Perché si scrive usando praticamente solo la prima e la terza persona singolari? Per convenzione. Perché si è sempre fatto così e perché il lettore si aspetta che si faccia così. Se ci pensate, anche la scelta dei tempi verbali è molto limitata. Perché non si scrivono i romanzi al futuro indicativo, o al condizionale? La risposta è sempre la stessa, per convenzione. 


Francamente, cara, me ne infischio e scrivo quello che mi pare.

Nulla perciò vi impedisce di scrivere in seconda persona singolare, in prima plurale, o di scrivere al futuro o al condizionale. Ma. Ovviamente c'è un ma.

MA!

1) Come ho scritto sopra, il lettore si aspetta di leggere in prima o in terza persona singolari. Se gli presentate un testo scritto tutto in seconda persona, rischiate che invece di immergersi nel racconto rimanga per tutto il tempo in superficie a galleggiare perplesso, chiedendosi "sì, ma perché in seconda persona?".

2) "Sì, ma perché in seconda persona?" non è affatto una domanda stupida.

Ogni persona grammaticale ha dei pro e dei contro, delle potenzialità e delle debolezze, delle suggestioni e delle ritorsioni. Scrivere in prima persona è diverso che scrivere in terza, e non solo dal punto di vista grammaticale. Come ho scritto prima, è una scelta di carattere stilistico e influenza non poco l'impatto che la storia avrà sul lettore. La scelta, quindi, deve avere un senso. Una storia si scrive in prima persona e non in terza, o viceversa, per un motivo. E così deve essere per la seconda persona singolare, o per qualsiasi altra persona plurale. Se la risposta alla domanda "perché in seconda persona" è "perché mi andava", potremmo avere un problema.

Proviamo a interrogarci su quale potrebbe essere il senso di un brano scritto in seconda persona singolare.
Sali le scale. Ignora il ragazzino che trema nell'angolo buio sul primo pianerottolo. Scavalca la chiazza di vomito e vedi di non appoggiarti alla ringhiera. La chiave che hai con te apre la metà delle porte dell'edificio; l'altra metà non si apre. Apri la porta con il numero 77. Non disturbarti a leggere le oscenità scarabocchiate sotto il numero - tanto non è nemmeno inglese, e tu non sei mai stato una cima alle lezioni di spagnolo al liceo. Non ricordi nemmeno quanto basta di spagnolo per determinare se le scritte siano davvero in spagnolo. Ci sono un sacco di haitiani in giro; potrebbe benissimo essere francese.
Apri la porta ed entra. Respira con la bocca. Il tizio sarà ormai morto da qualche giorno, e queste stanze diventano piuttosto soffocanti in estate. Apri una finestra. No, lascia perdere - probabilmente sono tutte serrate, e non hai tutto questo tempo. E comunque non sei qui per rassettare. Lascia che ci pensi la polizia a pulire, dopo che l'avrai chiamata. Ma non ancora. Hai un portafogli da cercare. Trattieni il respiro e cerca di non guardare ciò che gli sta succedendo alla pelle. Non cercare di immaginarti che aspetto avesse prima che marcisse tutto. Tanto non fa differenza che tu abbia già visto questo tizio vivo o no. Cercagli solo nelle tasche, così, da bravo. Infilagli le mani nelle tasche, a fondo, fino in fondo, anche se la stoffa dell'interno della tasca è così sottile, anche se la pelle sotto la tasca è molle e tesa, come la pellicola che si forma sulla purea di mais lasciata in frigo, tremolante, compatta ma pronta a sfaldarsi nel caso spingessi troppo forte.
Tiragli tutto fuori dalle tasche, da tutte le tasche. Ti laverai dopo. Potrai farti la doccia tutte le volte che vorrai. Potrai strofinarti le mani fino a farle sanguinare prima di riuscire a sentirti di nuovo abbastanza pulito da poter dormire la notte.
Preso tutto? Allora esci di lì.
Questo brano, che ho tratto e liberamente tradotto da Characters and Viewpoint, di Orson Scott Card, è sicuramente molto particolare. 

L'utilizzo della seconda persona conferisce alla scena un'atmosfera specifica. Avremmo potuto raccontare gli stessi identici avvenimenti in prima o in terza persona singolare? Sì, certo, ma non avrebbe avuto lo stesso effetto. 

Cosa possiamo dire di questa seconda persona? Potrebbe trattarsi del protagonista che si rivolge a se stesso per farsi forza, per convincersi a fare una cosa oggettivamente orribile e che magari non è nel suo carattere né nella sua storia personale (potrebbe essere un impiegato di banca qualsiasi finito per caso in un brutto affare di droga). Potrebbero anche essere le istruzioni di un altro personaggio che guidano il protagonista in una scena di "azione assistita"; non vediamo il personaggio compiere direttamente questi gesti, ma li viviamo attraverso la ricostruzione dell'ordine.

In ogni caso, la seconda persona è giustificata da una certa atmosfera. Abbiamo utilizzato la persona come uno strumento, un mezzo per raggiungere un fine. Al lettore non viene da chiedersi "sì, ma perché la seconda persona?", perché nell'utilizzo dello strumento c'è la sua ragion d'essere. Poi può piacere o non piacere, e c'è comunque da dire che non credo si tratti di una tecnica che possa essere tirata avanti per più di una pagina o due... Tuttavia, se usata con cognizione di causa, la seconda persona può sicuramente tornare utile.

Diverso sarebbe il caso di una scena scritta in questo modo:
Decidi di alzarti presto questa mattina, perché sai che non puoi permetterti di poltrire a letto. La mamma ieri ti ha fatto una bella lavata di capo, per via della bocciatura e del fatto che perdi troppo tempo davanti al computer. Ma cosa ne sa lei? Ai suoi tempi il computer non c'era, sennò ci avrebbe "perso tempo" anche lei, ne sei sicura. Mica è colpa tua se lei poteva vivere solo di telefoni a gettoni e tu invece hai la possibilità di sentirti con le amiche via MSN.
Qual è il senso di questa seconda persona? Se qui sostituissimo alla seconda persona una terza persona, non cambierebbe assolutamente niente. Mentre nel primo esempio l'atmosfera e il senso generale del brano verrebbero stravolti, in questo caso la seconda persona è solo un elemento "di colore" assolutamente accessorio, più fastidioso che altro. Il lettore si chiede il motivo di questo "distanziamento", di questa seconda persona che crea uno strano alone di separazione tra il personaggio, l'azione e l'osservatore, e nel testo non trova nessuna risposta soddisfacente.

Proviamo a leggere un  brano in prima persona plurale.
Usciamo all'imbrunire.
Andiamo a divertirci. A fare i coglioni.
Sappiamo divertirci noi. Sappiamo tirare fuori il meglio dal buco.
Saliamo in macchina e decidiamo di smuovere il culo. A morire un po' sulla pista. Ridiamo e ci fermiamo in un bar sulla provinciale a prendere le birre.
Questa sera è diversa e lo avvertiamo tutti. Aspiriamo dai finestrini aperti l'aria che ci rimbalza in faccia a 180. Siamo una fottuta muta di bastardi in movimento. Siamo come bufali. Solo più grossi. O come le iene. E quanto siamo affamati. Affamati di fica. Affamati di fica ruvida.
Niccolò Ammaniti, Fango
Il racconto Rispetto, di Niccolò Ammaniti, è scritto interamente in prima persona plurale. Il senso di questa pluralità è evidente: il branco si muove come una mente sola. Non c'è l'unità e la singolarità dell'individuo, ma un gruppo, un insieme di teste e di pulsioni feroci, che segue una sola volontà. Il senso di straniamento della prima persona plurale vuole immergere il lettore in questa mentalità del branco, e per farlo decide di dargli gli occhi "di molti" che valgono però come "uno". Il racconto ovviamente è molto breve, perché, come la seconda persona, anche in questo caso penso che a lungo andare questa scelta avrebbe reso la lettura difficile.

Ricapitolando, quindi

Sperimentare va bene, ma sperimentare troppo rischia di farvi perdere di vista l'obiettivo. La vostra prima preoccupazione deve essere quella di esprimere quello che volete esprimere al meglio delle vostre capacità, nella maniera più efficace e più incisiva. Come nel caso del brano in seconda persona, o nel caso di Ammaniti, l'incisività passa anche attraverso la scelta oculata della persona: scrivere lo stesso brano con una persona diversa non è un mero esperimento di traduzione, significa scegliere un mezzo espressivo diverso, perciò racconta un'altra storia. 

Ragionate sempre molto attentamente sul fine che volete raggiungere con il vostro mezzo espressivo, e valutate sempre attentamente i pro e i contro. Già che ci siamo, ne approfitto per proporvi un esercizio.

Esercizio

Provate a scrivere un breve brano:
- all'indicativo futuro
- all'imperativo
- in seconda persona plurale
- in terza persona plurale

A che tipo di situazioni si adatterebbero questi punti di vista particolari? Come si potrebbero giustificare narrativamente parlando?

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La cena, di Herman Koch, su IBS
Red, di Jack Ketchum, su Amazon
Fango, di Niccolò Ammaniti, su IBS
Nel territorio del diavolo - Sul mistero dello scrivere, di Flannery O'Connor, su IBS
Characters and Viewpoint, di Orson Scott Card, su Amazon
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