sabato 3 novembre 2012

SIAMO TUTTI CRIMINOLOGHI

via Tamara Orozco
Sono un’appassionata della Signora in Giallo , ahimè. Lo dico piano e forse un po’ me ne vergogno visto che non è così glamour come Mr Lightman di Lie to Me  o seducente come Bobby Donnell di The Practice , ma ehi, poteva andarmi peggio e ora potrei essere qui a scrivervi del TenenteColombo.

Così quando mi hanno chiesto di tradurre il manuale Writing Misteries  a cura di Sue Grafton ho accettato subito, certa di trovarvi l’essenza più profonda e segreta che permettesse di scrivere un giallo credibile, avvincente e pieno di colpi di scena. Per invogliarmi a iniziare una buona volta il lavoro monumentale, ho cercato di entrare nello spirito giusto andando in giro per casa con uno scialletto sulle spalle, chiedendomi se fosse il caso di tirare fuori dalla cantina la vecchia macchina da scrivere del nonno. Ma quando l'editore mi ha chiesto il primo capitolo, di cui non avevo tradotto neppure il titolo, ho pensato che non potevo fare a meno del tasto canc e così ho lasciato perdere lo spirito e mi sono messa al lavoro.

Scrivere Crime Stories , a cura di Sue Grafton è un viaggio all’interno degli elementi fondamentali che compongono un racconto giallo. Si fa presto a dire trama, ma da cosa è composta una buona trama?


Chi, cosa e perché
Andiamo con ordine. Nel caso di libro giallo non deve mancare il criminale (o la criminale, non sottovalutiamo le donne per favore), un investigatore (o un’investigatrice) e un movente.
E fino a qui potremmo essere in grado più o meno tutti di buttare giù qualcosa. Chi di noi non ha mai avuto voglia di far fuori il capufficio perché ci mette sempre la riunione improrogabile otto minuti prima della fine della giornata di lavoro, o il vicino di casa che tutte le volte che ti vede ti tiene sulle scale per tre quarti d’ora a parlarti della raccolta firme per far sparire il cane del dirimpettaio?
La cosa difficile è fare in modo che la trama sia intrisa di suspense e di mistero, creare personaggi coinvolgenti, mettere tensione nel testo. E per fare questo occorre lavorare sui personaggi.

L’investigatore
Una delle scelte da affrontare è la scelta dell’investigatore. E a questa scelta la curatrice del manuale dedica almeno un paio di capitoli. Vogliamo un investigatore professionista o un dilettante? Viene da sé che potremo scrivere di un investigatore professionista solo se conosciamo perfettamente l’ambiente professionale in cui si muove, altrimenti molto meglio optare per l’investigatore dilettante. Se non siamo noi stessi poliziotti o carabinieri (nel caso di polizieschi) o avvocati (nel caso di legal thriller) o medici specializzati (nel caso di medical thriller) forse è meglio non cimentarsi in un storia di questo tipo (a meno che l’obiettivo sia quello di far ridere, e per questo scriveremo un post ad hoc più avanti). I lettori sono spietati, lo capiscono subito. All’investigatore dilettante, invece, spiega Sue Grafton, viene perdonato tutto perché lavora solo con la sua testa, non deve rispettare procedure e gerarchie, può permettersi di non conoscere determinate cose tecniche, può andare a chiedere spiegazioni al personaggio, creato di volta in volta per l’occasione, che ne sa di più in quella materia specifica (portando con se il lettore, che non metterà in dubbio la sua credibilità).
La curatrice poi si dilunga sul fatto che il nostro obiettivo sia quello di scrivere una serie di gialli con lo stesso investigatore o un racconto spot, spiegando che nel primo caso l’investigatore deve fare un percorso di crescita durante le puntate, e lo scrittore deve rivelare i dettagli della sua vita passata piano piano dosandoli lungo tutta la serie, ma nel caso il vostro dubbio sia questo vi faccio i miei complimenti e mi chiedo perché mai stiate leggendo questo post.
E così ci siamo chiariti un po’ le idee. Che sia una signora Fletcher o un tenente Colombo, abbiamo deciso come costruire il nostro investigatore.


Il colpevole
Passiamo quindi al criminale. Eh eh… visto che dobbiamo metterci nei suoi panni, vediamo di farlo solo sulla carta! Non facciamoci prendere la mano.
Anche il criminale (chiamiamolo assassino per comodità, visto che di solito c’è sempre qualcuno che uccide qualcun altro; i gialli che trattano di furti al museo o cose così non ci interessano in questa sede) deve essere credibile. E per credibile si intende che deve avere un carattere che giustifichi il fatto che sia diventato assassino. Sue Grafton è particolarmente affascinata dai classici “bravi ragazzi” che nascondono turbe formate da bambini o da adolescenti (bambini trascurati o, al contrario, troppo stressati dai genitori) che, come una pentola a pressione, a un certo punto scoppiano facendo fuori qualcuno.
Personalmente ritengo sia molto difficile costruire in modo credibile un assassino in questa maniera. Occorre lavorare moltissimo proprio sulla sua caratterizzazione, dare enfasi a delle turbe che nella maggior parte dei casi sono comuni a tutti (eh dai, siate onesti! Chi non è stato stressato almeno un po’ da genitori esasperanti, o trascurati almeno un po’ quella volta che ci hanno mollato con la nonna per andare fuori per il weekend? Ah... no? Voi no…?). Aggiungerei che c’è anche il pericolo opposto, cioè quello di creare dei vissuti talmente paradossali e grotteschi da essere inverosimili o persino ridicoli. Rendere patologici ed estremi degli atteggiamenti e comportamenti che nella maggior parte dei casi sono comuni alle vite di tutti non è facile. Occorre essere molto bravi a rendere credibili le conseguenze estreme che fatti tutto sommato “normali” o vicini alla normalità, hanno avuto sul nostro personaggio. In queste storie il movente diventa meno importante proprio perché tutta la narrazione è incentrata sull’assassino. È lui che tiene in piedi tutto il thriller.
Personalmente credo che l’assassino arrabbiato con qualcuno sia un po’ meno complicato (ma è solo un’opinione!) poiché vi sono altri elementi che aiutano la storia a procedere (il movente e la stessa vittima). Gli si dà una ragione valida (sì, anche il parcheggio al supermercato è una buona ragione, guardate il film Un giorno di ordinaria follia!) e non è necessario che il nostro assassino sia uno psicopatico. Magari si approfondisce la sua inclinazione alla rabbia, gli si danno alcune qualità positive (fondamentale per la credibilità del personaggio: non possiamo costruirlo senza neanche una debolezza) e bene o male come assassino possiamo davvero prendere una persona comune.

Il movente
Strettamente connesso al personaggio dell’assassino è il movente. E qui possiamo sbizzarrirci. Sue Grafton non dedica neppure un capitolo del manuale al movente. Soldi, amori, amanti, eredità, passioni, affari… dipende da quanto freddo e calcolatore o quanto passionale vogliamo il nostro assassino.
Prima di mettere in piedi la storia a questo punto dobbiamo decidere se il nostro giallo prenderà la forma di: chi è l’assassino? E in questo caso il colpevole sarà mascherato all’interno di una rosa di altri personaggi tutti interessati a fare fuori la nostra vittima, ai quali verrà dato spazio in egual misura. Oppure se sarà del tipo: come farà il nostro investigatore a scoprire che è stato proprio lui? E in questo caso dovremo fare un gran lavoro di semina di indizi durante tutta la storia, e il racconto sarà incentrato soprattutto sull’investigatore.

Gli indizi e le piste (vere e false)
Alla “semina degli indizi” la curatrice del manuale dedica un capitolo intero, molto interessante. Ovviamente non si può tirare fuori il coniglio dal cilindro nelle ultime pagine e svelare il colpevole in modo pretenzioso, pena vedere il lettore scaraventare sul pavimento il nostro thriller, che finirà diretto nella pattumiera del nero, indegno com’è di finire nella carta da macero. Eh no. Bisogna seminare qua e là indizi, e anche falsi indizi, in modo intelligente. Due o tre armi (che a prima vista armi non sono) notate da uno dei personaggi (un coltello nella vetrina di un negozio il cui proprietario conosceva la vittima, uno spillone al petto di una signora, la catena di una borsa di una ragazza), o spostate per sbaglio da un altro personaggio (qualcuno ha preso un accendino e non l’ha più reso, oppure il posacenere che prima stava sul pianoforte ed è stato trovato in cucina). Più persone con un movente valido, qualcuno che ha qualcosa da nascondere, ma che non c’entra nulla con il nostro omicidio (una relazione amorosa, un padre che non sa di avere un figlio da qualche parte).

Il fattaccio
Il manuale non entra più di tanto sulle infinite possibilità tra le quali l’assassino può scegliere per commettere il crimine. Sarà la nostra fantasia a suggerirle. Saranno serie o semiserie, grottesche o macabre. O addirittura fantasiose. Prendetevi cinque minuti e ne verranno in mente così tante da non avere il tempo di scriverle. Penso che la scelta del “fattaccio” sia in fondo la più semplice.
Quello che fa Sue Grafton è di dedicare un capitolo intero alla descrizione della violenza commessa dal nostro assassino. E’ un capitolo forte, paradossalmente violento, per stare all’interno di un manuale, in cui la stessa violenza (piuttosto cruda, qui ve la risparmio) viene descritta in modi diversi. Da quello più dettagliato (da tavolo di chirurgico) a quello in cui viene appena accennata.
E dimostra, con grande sorpresa del lettore, che la modalità che più colpisce il lettore e gli fa balzare il cuore in petto… è quella in cui la violenza non viene descritta affatto, ma viene completamente omessa, lasciando totalmente a chi legge immaginare con tutte le sue paure quali terribili sensazioni stia provando la povera vittima nelle mani del suo carnefice.
Sorprendente. Da non credere.

Sue Grafton dice molte altre cose, ma quelle che mi sono rimaste maggiormente impresse sono queste.
Mi rendo conto solo ora che non ho detto chi è Sue Grafton. È un’autrice americana, best seller, che ha creato il personaggio seriale di Kinsey Millhone che in America ha spopolato. Quindi una che ha parecchio da insegnare.
E ora mi metto al lavoro e provo a mettere in pratica i suoi consigli.

O magari domani.



Delia Mazzocchi

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