via Tamara Orozco |
Sono un’appassionata della Signora in Giallo , ahimè. Lo dico piano e forse
un po’ me ne vergogno visto che non è così glamour come Mr Lightman di Lie to Me o seducente come Bobby
Donnell di The Practice , ma ehi, poteva andarmi peggio e ora potrei essere qui a scrivervi del TenenteColombo.
Così quando mi hanno
chiesto di tradurre il manuale Writing Misteries a
cura di Sue Grafton ho accettato subito, certa di
trovarvi l’essenza più profonda e segreta che permettesse di scrivere un giallo
credibile, avvincente e pieno di colpi di scena. Per invogliarmi a iniziare
una buona volta il lavoro monumentale, ho cercato di entrare nello spirito
giusto andando in giro per casa con uno scialletto sulle spalle, chiedendomi se
fosse il caso di tirare fuori dalla cantina la vecchia macchina da scrivere del
nonno. Ma quando l'editore mi ha chiesto il primo capitolo, di cui non avevo
tradotto neppure il titolo, ho pensato che non potevo fare a meno del tasto
canc e così ho lasciato perdere lo spirito e mi sono messa al lavoro.
Scrivere Crime Stories , a cura di Sue Grafton è un viaggio all’interno degli elementi
fondamentali che compongono un racconto giallo. Si fa presto a dire trama, ma
da cosa è composta una buona trama?
Chi, cosa e perché
Andiamo con ordine. Nel
caso di libro giallo non deve mancare il criminale (o la criminale, non
sottovalutiamo le donne per favore), un investigatore (o
un’investigatrice) e un movente.
E fino a qui potremmo
essere in grado più o meno tutti di buttare giù qualcosa. Chi di noi non ha mai
avuto voglia di far fuori il capufficio perché ci mette sempre la riunione
improrogabile otto minuti prima della fine della giornata di lavoro, o il
vicino di casa che tutte le volte che ti vede ti tiene sulle scale per tre
quarti d’ora a parlarti della raccolta firme per far sparire il cane del
dirimpettaio?
La cosa difficile è fare in
modo che la trama sia intrisa di suspense e di mistero,
creare personaggi coinvolgenti, mettere tensione nel testo. E per fare questo
occorre lavorare sui personaggi.
L’investigatore
Una delle scelte da
affrontare è la scelta dell’investigatore. E a questa scelta la
curatrice del manuale dedica almeno un paio di capitoli. Vogliamo un
investigatore professionista o un dilettante? Viene da sé che potremo scrivere
di un investigatore professionista solo se conosciamo perfettamente
l’ambiente professionale in cui si muove, altrimenti molto meglio optare
per l’investigatore dilettante. Se non siamo noi stessi poliziotti o
carabinieri (nel caso di polizieschi) o avvocati (nel caso di legal thriller) o
medici specializzati (nel caso di medical thriller) forse è meglio non
cimentarsi in un storia di questo tipo (a meno che l’obiettivo sia quello di
far ridere, e per questo scriveremo un post ad hoc più avanti). I lettori sono
spietati, lo capiscono subito. All’investigatore dilettante, invece,
spiega Sue Grafton, viene perdonato tutto perché lavora solo con la sua testa,
non deve rispettare procedure e gerarchie, può permettersi di non conoscere
determinate cose tecniche, può andare a chiedere spiegazioni al personaggio,
creato di volta in volta per l’occasione, che ne sa di più in quella materia
specifica (portando con se il lettore, che non metterà in dubbio la sua credibilità).
La curatrice poi si dilunga
sul fatto che il nostro obiettivo sia quello di scrivere una serie di gialli
con lo stesso investigatore o un racconto spot, spiegando che nel primo caso
l’investigatore deve fare un percorso di crescita durante le puntate, e lo
scrittore deve rivelare i dettagli della sua vita passata piano piano dosandoli
lungo tutta la serie, ma nel caso il vostro dubbio sia questo vi faccio i miei
complimenti e mi chiedo perché mai stiate leggendo questo post.
E così ci siamo chiariti un
po’ le idee. Che sia una signora Fletcher o un tenente Colombo, abbiamo deciso
come costruire il nostro investigatore.
Il colpevole
Passiamo quindi al
criminale. Eh eh… visto che dobbiamo metterci nei suoi panni, vediamo di farlo
solo sulla carta! Non facciamoci prendere la mano.
Anche il criminale
(chiamiamolo assassino per comodità, visto che di solito c’è sempre qualcuno
che uccide qualcun altro; i gialli che trattano di furti al museo o cose così
non ci interessano in questa sede) deve essere credibile. E per credibile si
intende che deve avere un carattere che giustifichi il fatto che sia diventato
assassino. Sue Grafton è particolarmente affascinata dai classici “bravi
ragazzi” che nascondono turbe formate da bambini o da adolescenti (bambini
trascurati o, al contrario, troppo stressati dai genitori) che, come una
pentola a pressione, a un certo punto scoppiano facendo fuori qualcuno.
Personalmente ritengo sia molto difficile costruire in modo credibile un
assassino in questa maniera. Occorre lavorare moltissimo proprio sulla sua caratterizzazione, dare
enfasi a delle turbe che nella maggior parte dei casi sono comuni a tutti (eh
dai, siate onesti! Chi non è stato stressato almeno un po’ da genitori
esasperanti, o trascurati almeno un po’ quella volta che ci hanno mollato con
la nonna per andare fuori per il weekend? Ah... no? Voi no…?). Aggiungerei che c’è anche il pericolo
opposto, cioè quello di creare dei vissuti talmente paradossali e grotteschi da
essere inverosimili o persino ridicoli.
Rendere patologici ed estremi degli atteggiamenti e comportamenti che nella
maggior parte dei casi sono comuni alle vite di tutti non è facile. Occorre
essere molto bravi a rendere credibili le conseguenze estreme che fatti tutto
sommato “normali” o vicini alla normalità, hanno avuto sul nostro personaggio.
In queste storie il movente diventa meno importante proprio perché tutta la
narrazione è incentrata sull’assassino. È lui che tiene in piedi tutto il
thriller.
Personalmente credo che
l’assassino arrabbiato con qualcuno sia un po’ meno complicato (ma è solo
un’opinione!) poiché vi sono altri elementi che aiutano la storia a procedere
(il movente e la stessa vittima). Gli si dà una ragione valida (sì, anche il
parcheggio al supermercato è una buona ragione, guardate il film Un giorno di ordinaria follia!) e non è necessario che il nostro assassino sia uno psicopatico. Magari si
approfondisce la sua inclinazione alla rabbia, gli si danno alcune qualità
positive (fondamentale per la credibilità del personaggio: non possiamo
costruirlo senza neanche una debolezza) e bene o male come assassino possiamo
davvero prendere una persona comune.
Il movente
Strettamente connesso al
personaggio dell’assassino è il movente. E qui possiamo sbizzarrirci. Sue
Grafton non dedica neppure un capitolo del manuale al movente. Soldi, amori,
amanti, eredità, passioni, affari… dipende da quanto freddo e calcolatore o
quanto passionale vogliamo il nostro assassino.
Prima di mettere in piedi
la storia a questo punto dobbiamo decidere se il nostro giallo prenderà la
forma di: chi è l’assassino? E in questo caso il colpevole sarà mascherato
all’interno di una rosa di altri personaggi tutti interessati a fare fuori la nostra
vittima, ai quali verrà dato spazio in egual misura. Oppure se sarà del tipo:
come farà il nostro investigatore a scoprire che è stato proprio lui? E in
questo caso dovremo fare un gran lavoro di semina di indizi durante tutta la
storia, e il racconto sarà incentrato soprattutto sull’investigatore.
Gli indizi e le piste
(vere e false)
Alla “semina degli indizi”
la curatrice del manuale dedica un capitolo intero, molto interessante.
Ovviamente non si può tirare fuori il coniglio dal cilindro nelle ultime pagine
e svelare il colpevole in modo pretenzioso, pena vedere il lettore scaraventare
sul pavimento il nostro thriller, che finirà diretto nella pattumiera del nero,
indegno com’è di finire nella carta da macero. Eh no. Bisogna seminare qua e là indizi, e anche falsi indizi, in modo
intelligente. Due o tre armi (che a prima vista armi non sono) notate da
uno dei personaggi (un coltello nella vetrina di un negozio il cui proprietario
conosceva la vittima, uno spillone al petto di una signora, la catena di una
borsa di una ragazza), o spostate per sbaglio da un altro personaggio (qualcuno
ha preso un accendino e non l’ha più reso, oppure il posacenere che prima stava
sul pianoforte ed è stato trovato in cucina). Più persone con un movente
valido, qualcuno che ha qualcosa da nascondere, ma che non c’entra nulla con il
nostro omicidio (una relazione amorosa, un padre che non sa di avere un figlio
da qualche parte).
Il fattaccio
Il manuale non entra più di
tanto sulle infinite possibilità tra le quali l’assassino può scegliere per
commettere il crimine. Sarà la nostra fantasia a suggerirle. Saranno serie o
semiserie, grottesche o macabre. O addirittura fantasiose. Prendetevi cinque
minuti e ne verranno in mente così tante da non avere il tempo di scriverle.
Penso che la scelta del “fattaccio” sia in fondo la più semplice.
Quello che fa Sue Grafton è
di dedicare un capitolo intero alla descrizione
della violenza commessa dal nostro assassino. E’ un capitolo forte,
paradossalmente violento, per stare all’interno di un manuale, in cui la stessa
violenza (piuttosto cruda, qui ve la risparmio) viene descritta in modi
diversi. Da quello più dettagliato (da tavolo di chirurgico) a quello in cui
viene appena accennata.
E dimostra, con grande
sorpresa del lettore, che la modalità che più colpisce il lettore e gli fa
balzare il cuore in petto… è quella in cui la violenza non viene descritta
affatto, ma viene completamente omessa, lasciando totalmente a chi legge
immaginare con tutte le sue paure quali terribili sensazioni stia provando la
povera vittima nelle mani del suo carnefice.
Sorprendente. Da non
credere.
Sue Grafton dice molte
altre cose, ma quelle che mi sono rimaste maggiormente impresse sono queste.
Mi rendo conto solo ora che
non ho detto chi è Sue Grafton. È un’autrice
americana, best seller, che ha creato il personaggio seriale di Kinsey Millhone
che in America ha spopolato. Quindi una che ha parecchio da insegnare.
E ora mi metto al lavoro e
provo a mettere in pratica i suoi consigli.
O magari
domani.
Delia Mazzocchi
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