“Get an accountant, abstain from sex and similes, cut, rewrite, then cut and rewrite again – if all else fails, pray. Inspired by Elmore Leonard's 10 Rules of Writing, we asked authors for their personal dos and don't’s.”
Così comincia un celebre articolo del Guardian, pubblicato il 20 febbraio 2010 e rebloggato ovunque vi fosse qualche possibilità di parlare di scrittura, lettura, libri, autori e aspiranti tali.
Coooooomunque: ce le siamo lette tutte, e gli autori intervistati per quell’articolo erano ventinove. Non c’è niente da fare, le regole allettano: sembrano rendere tutto più facile o, più che altro, tutto possibile. Inevitabile pensare, anche solo per un secondo, che applicare la regola ci farà scrivere meglio. In realtà sappiamo tutti che è sbagliato, così come credere che frequentare un corso di scrittura creativa farà di noi automaticamente degli scrittori.
Il corso di scrittura lavora sulla parte “artigianale” dello scrivere: fornisce le basi, risveglia la consapevolezza, dà un nome a tecniche che forse un talento naturale applica senza sapere di applicarle. Può aiutare il talento a sbocciare - per mezzo di uno straordinario effetto valanga - ma non può crearlo da zero.
Allo stesso modo le regole aiutano ma non bastano, soprattutto se sono le regole di qualcun altro. Tu che ci leggi, se hai qualche esperienza di scrittura, potresti avere giustamente voglia di dettare le tue regole. Oppure potresti trovarti ad applicare un consiglio che per il resto del mondo funziona, ma disgraziatamente non con te.
Lo sa chiunque faccia il pane in casa: ti danno le dosi di farina, acqua, sale e lievito, la temperatura del forno e il tempo di cottura. Poi a un cuoco viene una pagnotta fragrante da fotografare per l’album di famiglia, e all’altro una cosa piatta dall’aspetto spugnoso ma dura come un sasso. È il forno? L’acqua? La mano del fornaio? Impastato troppo? Troppo poco? Troppo sale? Poco lievito? Boh. Tutto questo o anche niente. Poi alla fine c’è anche il gusto personale, perché una cosa che ripugna a qualcuno potrebbe piacere a qualcun altro. E se siete convinti che una cosa sia oggettivamente brutta, è meglio che sappiate spiegare bene ed argomentarne il perché.
Tornando alle regole: sono divertenti e costringono ad usare la testa, perché poi uno è provocato a misurarne il (possibile) funzionamento. Fanno anche riflettere sulla scrittura e questa è cosa buona e giusta. Diciamo che in generale usare il cervello è sempre cosa buona e giusta.
Le regole di Gaiman sono quelle che sono andate per la maggiore e ci piacciono anche molto, ma non stiamo a ripetervele, tanto le avete sicuramente già lette da qualche altra parte. Se le volete in italiano, per esempio, potete cliccare qui. Invece faremo un’altra cosa: a partire dalla settimana prossima, vi raccontiamo le regole che sono piaciute a noi e vi diciamo il perché. Non so se saranno proprio dieci, magari anche dodici o quindici, comunque si tratta delle nostre preferite tra tutte quelle enunciate in occasione di quel fortunato articolo. Se le nostre spiegazioni vi piaceranno fatecelo sapere commentando; se vi avranno annoiato o non siete convinti del tutto, idem. Ci interessa sapere cosa ne pensate e ogni occasione è buona per imparare qualcosa di nuovo, noi, voi e tutti quelli che ci leggono.
P.S. Prendiamo in prestito il titolo della Rubrica da J.K. Rowling. Ci piace perché se peschi in quel famoso sacchetto ti può capitare qualunque gusto e noi siamo pronti a tutto!
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